Ruta 2010

RUTA GIUSEPPE, Catechetica come scienza. Introduzione allo studio e rilievi epistemologici, LDC, 2010

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La catechetica è una scienza «giovane» e non ha soggezione di esserlo, nonostante la fatica di definirsi e di essere riconosciuta presso le comunità ecclesiale e scientifica. Necessita continuamente di percorrere un itinerario epistemologico “aperto” all’autocomprensione, alle puntualizzazioni che le provengono da altre scienze e all’articolazione della ricerca.

Riconoscendo nel passato e nella configurazione attuale il suo DNA, tenendo sempre presenti bussola e mappa, guardando alle costellazioni scientifiche da cui trae orientamento, la catechetica è tutta tesa ad analizzare e interpretare la realtà della “catechesi” nelle sue varie forme e declinazioni, a progettare, in modo fedele e creativo, modelli e paradigmi più significativi ed efficaci per il futuro.

Il volume intende essere un invito allo studio attraverso la presentazione ragionata di alcuni rilievi epistemologici:

  • prendendo in esame l’origine, lo sviluppo storico e la situazione attuale della catechetica (prima parte);
  • analizzando alcune coordinate di fondo, come le fonti (Magistero e prassi catechistica) e le matrici (scienze teologiche, scienze dell’educazione, scienze della comunicazione), e soffermandosi su alcuni strumenti teorici, quali sono i «modelli» e i «paradigmi» (seconda parte);
  • sintetizzando i risultati ottenuti, evidenziandone la consistenza scientifica e le fasi della ricerca catechetica, per arrivare a definire meglio l’identità, le competenze e la formazione del catecheta oggi (terza parte).

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Recensione

a cura di Carmelo Torcivia, docente di Teologia Pastorale Fondamentale presso la Facoltà Teologica di Sicilia

Don Giuseppe Ruta, catecheta salesiano dell’Istituto Teologico “S. Tommaso d’Aquino” di Messina, è ben noto nel panorama scientifico degli studi di Catechetica per la sua serietà professionale e il suo rigore scientifico. Dopo tanti anni d’insegnamento, finalmente vede la luce un suo ultimo libro, che li riassume: Catechetica come scienza. Introduzione allo studio e rilievi epistemologici. Si tratta di un lavoro poderoso (ben 448 pagine) e impegnativo, frutto appunto di tanti anni d’insegnamento e d’intensa riflessione scientifica, dedicato giustamente alla memoria di un suo confratello catecheta, il compianto don Giovanni Cravotta.

Il libro, che si colloca nel genere letterario dei “manuali”, si articola in tre parti: a) la storia della Catechetica, b) le sue fonti (Magistero, prassi e movimenti catechistici) e matrici (scienze teologiche, dell’educazione e della comunicazione), i modelli e i paradigmi, c) la sistematica epistemologica. Una mirata ed articolata bibliografia e un CD arricchiscono lo stesso manuale. La gran messe d’informazioni, e ancor più di riflessioni, lo rendono prezioso strumento per chi, sia da studioso sia da studente, fa il felice incontro con la Catechetica. A differenza con gli altri manuali, anche famosi, il suo scopo è chiaramente epistemologico. Si tratta di fondare il perché e non esibire solo l’articolazione e i campi della disciplina.

La domanda centrale che, infatti, anima tutto il libro è in fondo molto semplice: cos’è la Catechetica? Aldilà della sua apparente semplicità, essa nasconde un disagio contemporaneo della comunità accademica sulla possibilità e l’utilità del percorso epistemologico non solo per la Catechetica, ma anche per altre discipline. Ci vuole, pertanto, tutta la passione e – mi si passi il termine – la “testardaggine” del ricercatore, che per sua natura è sempre attirato dalla verità, per riuscire a superare le solite derive di diffidenza, se non di nichilismo. Il nostro autore è tra questi “testardi”. La sua passione per la Catechetica non si limita affatto a facili percorsi metodologici in vista di soluzioni pratiche, ma piuttosto tiene la barra dritta sulle domande di verità che fondano e ritmano la disciplina. Disciplina, se confrontata con le altre discipline teologiche, piccola e giovane, ma difficile e complessa per l’intrinseca struttura di dialogo interdisciplinare che la costituisce come un work in progress permanente.

È su questa domanda centrale che si vuole ora concentrare l’attenzione. Per l’autore la Catechetica (o le “Scienze Catechetiche”, se si vuole rendere conto degli apporti pluridisciplinari che la compongono), una volta assodata la necessaria precedenza della catechesi che giustifica una propria scienza riflessiva, non è che il frutto di confluenza di tre grossi bacini disciplinari o matrici: la teologia, le scienze dell’educazione e le scienze della comunicazione. La Catechetica attinge appunto a questi tre bacini in vista del raggiungimento del proprio oggetto formale: lo studio dell’atto catechistico in quanto tale, cioè dal punto di vista della comunicazione educativa della Parola. A tal proposito afferma Ruta: «La fondazione scientifica della catechesi si articola, così, su nuove basi. Ancorata alla teologia, ricerca il dialogo con le scienze della formazione e con le scienze della comunicazione. Dall’incontro fra i tre rami scientifici nasce una quarta scienza, figlia delle Scienze teologiche, delle Scienze dell’educazione e delle Scienze della comunicazione. Non si confonde, però, con nessuna delle tre: la sua identità è quella di essere scienza dell’azione catechistica, ossia della comunicazione ordinata e sistematica, intenzionalmente educativa, della Parola di Dio, in vista della maturazione di persone e di comunità adulte nella fede» (p. 342). Esiste, allora, una prassi plurisecolare, che affonda le sue radici già nel NT, ed è quella catechistica. L’intenzionalità di questa prassi non è tanto nell’ordine del sapere della fede, magari distinto da quello teologico in vista di un sapere più semplice e più spendibile didatticamente. La sua intenzionalità è invece tutta sbilanciata sia verso l’atto di fede sia verso tutta la vita cristiana, sia verso la singola persona sia verso la comunità cristiana. In questo senso, la scienza che nasce per la riflessione su questo atto non può soltanto autocomprendersi come solo interna alla teologia, da cui non potrebbe attingere per la riflessione sui fattori inerenti alla comunicazione e alla educazione. Essa ha, allora, bisogno di attingere alle scienze dell’educazione e della comunicazione nativamente e non per istanza di sussidiarietà o peggio ancora di ancillarità. Si tratta così di un sapere transdisciplinare più interdisciplinare. D’altro canto, l’ancoraggio all’oggetto formale permette alla Catechetica la propria unità scientifica e di non essere un mero insieme di nozioni sparse ed eterogenee tra loro.

Sin qui, in estrema sintesi, il pensiero di Giuseppe Ruta, che raccoglie quello di tanti ed illustri catecheti. Il problema che qui ci si vuol porre è la giustezza o meno di questa impostazione. Si tratterà ora di entrare in dialogo con essa per verificarne le ragioni, ma anche i limiti. Il senso di questo ragionamento non è affatto polemico. Non potrebbe mai esserlo sia per l’amicizia che mi lega da tanti anni all’autore sia per l’affetto che sento per la Catechetica che ho studiato ed insegnato. Credo, però, che sia necessario svolgerlo, ampliando lo sguardo anche ben oltre lo stesso libro di Ruta, nella consapevolezza di inserirmi in un dibattito aperto (cfr. p. 358, in cui Ruta cita Luciano Meddi, che offre quattro figure di Catechetica corrispondenti a quattro configurazioni epistemologiche).

È chiaro che quest’impostazione prende le mosse da una lunga storia, di cui Ruta accortamente traccia un preciso disegno (cfr. pp. 71-123). Dapprima, l’appartenenza alla teologia e, poi, alla teologia pastorale; quindi, il distacco progressivo da esse per un profondo e costitutivo dialogo con le scienze dell’educazione. Tutto questo è avvenuto per alcune precise ragioni. Due, tra le più importanti, sono: il passaggio da una concezione dottrinaria della catechesi ad una legata all’educazione della fede e l’insufficiente comprensione del ruolo delle scienze umane nel far teologia. Queste due ragioni, strettamente connesse tra loro, hanno portato appunto ad un progressivo “allontanamento” – mi si passi il termine, sicuramente più forte rispetto a quello di “autonomia” – della Catechetica dalla teologia. Il frutto di questo allontanamento è a tutt’oggi visibile: dalla parte della teologia è raro che si verifichi un riconoscimento di tipo teologico di opere catechetiche, da parte della Catechetica è altrettanto raro che ci s’impegni a fondo nella comprensione teologica, rinviando per questa ad una sorta di dipendenza dai dati della teologia sistematica (si verifica così un curioso deduzionismo che in teoria si vuole evitare). Ora, il problema va affrontato a partire da ciò che significa teologia in generale e da quali articolazioni essa debba prevedere al suo interno. Cos’è, allora, teologia cristiana? In breve, è uno sforzo di comprensione globale ed ecclesiale della fede, della vita cristiana e del mondo a partire dalla stessa fede della comunità cristiana in Gesù Cristo.[1]

All’interno di questo ragionamento, è importante sottolineare il senso di questa “comprensione globale”. La teologia è comprensione globale, prima ancora che essere esercizio di razionalità filosofica a partire da un orizzonte di fede. Se è vero, infatti, che si ha bisogno di belle e rigorose sintesi teologiche che incrociano i sentieri di riflessione filosofica contemporanea, e questo è soprattutto compito della teologia fondamentale e della sistematica (termine da preferire a “dogmatica” in quanto ogni disciplina teologica ha, in quanto tale, a che fare con il dogma), tuttavia il senso e i metodi del fare teologia sono più ampi rispetto a queste specifiche articolazioni. E soprattutto, è importante, alla luce degli apporti delle stesse scienze filosofiche e antropologiche, che si affermi la necessità di una comprensione “globale”, che superi la nefasta coincidenza tra razionale e reale o, in ogni caso, allarghi il campo del razionale. Dentro e al fine di realizzare questa comprensione globale, si collocano le aree disciplinari della teologia, ognuna con il proprio metodo d’indagine (critico-letterario, storico, sistematico, pratico) e ulteriormente suddivise in singole discipline. Ora se è comprensibile da parte della teologia sistematica la sua giusta “pretesa” di far sintesi degli approcci delle altre aree, è però altrettanto vero che questa sintesi sia impossibile nella sua completezza, sotto pena di cadere nella hybris, e che la stessa teologia sistematica rinvii alle altre aree per questioni ad esse pertinenti. In questo senso, non ci sono fratelli maggiori e minori. C’è una comune ricerca della verità, che per sua natura è poliedrica e impossedibile. Tutta la teologia, in forza del rispetto e della valorizzazione della sua ricca articolazione, si orienta verso la comprensione globale della verità. In sintesi: non vi è coincidenza tra teologia e teologia sistematica e occorre un pluralismo di metodi scientifici nel fare teologia. In questo senso, è importante che ogni disciplina teologica rispetti il metodo dell’area specifica di appartenenza, senza invadere il campo altrui e senza avere complessi di superiorità o d’inferiorità.

Sulla base di questo ragionamento si possono individuare alcune risposte ai problemi posti sopra e le conseguenti proposte.

Innanzitutto, il gioco dei ruoli. Che alcuni teologi sistematici abbiano serie perplessità sulla “pretesa” veritativa delle scienze umane e che, quindi, le pongano ad un livello descrittivo ed ancillare, è un problema loro, semmai lo vogliano considerare come problema. Chi lavora nell’area della teologia pratica sa e apprezza il valore veritativo delle scienze umane e ne fa debito uso per far teologia. D’altronde, sono due metodi diversi, che affondano le loro radici nella classica distinzione tra ragione teoretica e ragione pratica e non per forza devono dialogare tra loro su tutto.

Poi, l’appartenenza. La Catechetica, esattamente in forza del suo oggetto sia materiale sia formale, appartiene all’area della teologia pratica (così come la teologia pastorale, la teologia morale, il diritto canonico, la teologia spirituale).[2] Essa, quindi, non appartiene alla teologia pastorale non solo per rispetto alla sua storia, ma anche per ragioni di convenienza in ordine al perseguimento del suo oggetto formale. In un certo senso, in ragione al vasto campo catechetico dell’annuncio, la precede e la giustifica. È, inoltre, più conveniente avere delle discipline agili e precise nel loro compito che pesanti architetture che motivano pericolose dipendenze e mentalità a “bambole russe”.

A partire da questa appartenenza, che esprime la sua autoconsapevolezza e il suo servizio ecclesiale, la Catechetica è nativamente teologia. Siccome appartiene all’area teologico-pratica, essa farà teologia ricercando le sue affermazioni di verità anche e non solo all’interno delle diverse scienze umane, così come tradizionalmente i teologi sistematici hanno fatto e continuano a fare con la filosofia. In questo modo, essa è facilmente riconoscibile da tutti e beneficia di feconde e diverse interazioni tra le aree teologiche e resta fedele alla sua identità e alla sua mission.

Per concludere. Il bello e stimolante libro di Giuseppe Ruta può rappresentare un’ulteriore occasione per riflettere non solo sul senso di una disciplina, la Catechetica, ma sulle aree del far teologia. Come teologo pastorale avverto la necessità di dover giustificare la mia disciplina non soltanto a partire da oggetto e metodo intrinseci ad essa, ma a partire dall’appartenenza, assieme ad altre discipline, ad una comune area. In questi anni di lavoro mi sono accorto che incertezze epistemologiche e metodologiche sono presenti non solo nei teologi pastorali e nei catecheti, ma anche nei teologi morali e nei teologi spirituali. Sui canonisti purtroppo non so dire. Forse sarebbe il caso di fare un tavolo comune in cui con pazienza ed intelligenza si riescano a dare le coordinate comuni del pensare teologico-pratico. La condivisione, infatti, di un comune metodo di lavoro potrebbe portare ad indubbi benefici e ad affrontare alcune questioni ecclesiali e teologiche aldilà del proprio giardinetto disciplinare. Ne verrebbe fuori una figura di teologi pratici molto rafforzata e un servizio teologico più qualificato nei confronti della Chiesa e del mondo.

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Note

[1] Si ricordi, a tal proposito la concezione ermeneutica di Schleiermacher, che vede il nascere e il costituirsi della scienza teologica a partire dalla comunità cristiana. I numerosi dati della teologia, così, senza lo sguardo unificante e creativo della comunità cristiana, resterebbero solo possesso di altre discipline scientifiche non-teologiche. Da qui ancora, la conseguente considerazione di Schleiermacher che giustifica, a fronte di una pluralità di confessioni-comunità cristiane, il nascere di diverse teologie corrispondenti (cfr. F.D.E. Schleiermacher, Lo studio della teologia. Breve presentazione (editoriale e traduzione di R. Osculati, Queriniana, GDT 110, Brescia 1978, §§ 6-7).

[2] È evidente in questa impostazione che preferisco parlare di “teologia pastorale” quando parlo della disciplina, piuttosto che di teologia pratica, che invece rinvia all’area sia per il riferimento veritativo alla prassi e alle scienze che la indagano sia per la formulazione dei giudizi inerenti alla ragione pratica. È ovvio che la dizione “teologia pastorale” va depurata da ogni radice ed influsso clericale.